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Cassino 1944.Distruzione e salvataggio di opere d’arte Sintesi della conferenza del Gen. Dario Sacco

Questa breve sintesi tratta solo marginalmente le battaglie combattute nel 1944 intorno a questa città, medaglia d’oro al valor militare, ma cerca di chiarire le conseguenze che tali battaglie recarono alle opere d’arte che in quel periodo erano nell’interno del Sacro Recinto dell’Abbazia. Il 15 febbraio 1944, senza alcuna ragione plausibile, fu distrutto il più importante centro del sapere e dell’arte del mondo occidentale realizzato da San Benedetto (la struttura religiosa di Montecassino era gemella di un altro importante monastero benedettino che si trova a Melk in Austria). In quel giorno infausto scomparvero molte opere d’arte tra le quali vorrei evidenziare i famosi affreschi di Luca Giordano (1677), di Francesco Solimena e Francesco de Mura del gruppo di pittori napoletani del 1700. Scomparvero altresì statue in legno ed in marmo, gli stalli del coro in legno pregiato, l’organo realizzato nel 1598 dall’artista Caterinozzi di Subiaco, tutti i mosaici delle cappelle e delle cripte e tanti altri oggetti d’arte raccolti nel tempo. A queste perdite, gravissime, si contrappose il salvataggio di molte e, forse, più importanti opere d’arte di valore immenso che fu possibile salvare specie con l’aiuto dei tedeschi. Verso la fine del 1943, un cultore d’arte di Londra, il capitano Norris della RAF con sede a Napoli, andando a trovare il sovrintendente del Museo Nazionale, seppe che le opere d’arte del Museo di Capodimonte e delle Gallerie di Napoli erano state trasferite, per sicurezza, insieme ad altre opere d’arte dei musei meridionali che temporaneamente erano a Napoli per la mostra triennale, nel Monastero di Montecassino. Il Norris, preoccupato in quanto il Monastero era il perno materiale e morale della linea Gustav, trasmise messaggi in chiaro ai suoi corrispondenti con la speranza che i tedeschi, intercettandoli, si prodigassero per mettere al sicuro tali opere. Nei messaggi s’ipotizzava un possibile coinvolgimento del monastero in obiettivi aerei e d’artiglieria, anche se non diretti alla struttura. L’iniziativa per il salvataggio delle opere d’arte, partì dal capitano medico Becker della divisione Goering, che già si era interessato a salvare i volumi della biblioteca nazionale di Napoli, trasferendoli al monastero di Teano. Il Capitano Becker dovette impiegare tutta la sua diplomazia per convincere l’Abate Diamare a dare il consenso per il trasporto delle opere in altra sede. Infatti, Diamare riteneva che un popolo civile come quello americano non potesse pensare alla distruzione di una struttura religiosa nota in tutto il mondo. A cura dei tedeschi furono approntati i contenitori e con mezzi della stessa Divisione Goering, le opere d’arte di proprietà dello Stato Italiano furono trasferite a Spoleto, presso la villa Colle Ferretto, mentre le opere di proprietà della Santa Sede furono portate a Roma nei Monasteri di San Paolo fuori le mura e Sant’Anselmo. Tra questa gran quantità d’opere d’arte vorrei segnalare dipinti su tela di Tiziano, Simone Martini, Masaccio.
Simone Martini: Carlo d’Angiò Museo di Capodimonte
Masaccio: Crocifissione Museo di Capodimonte Inoltre furono salvati: - il Tesoro di San Gennaro; - il medagliere di Siracusa contenente monete rarissime, quale quella con il profilo di Aretusa (360 a.C.) e monete con l’effige della regina Filistide; - alcuni rarissimi reperti archeologici di Pompei ed Ercolano; - il Placito cassinese del marzo 960 (primo scritto in volgare); - le reliquie di San Benedetto e della sorella Santa Scolastica. Il Tesoro fu restituito allo Stato Italiano a Castel Sant’Angelo, ma…..mancavano alcuni reperti importanti, sottratti a Spoleto e regalati al Maresciallo Goering per il suo cinquantaduesimo compleanno. Queste opere, furono ritrovate dagli americani in fondo ad una miniera di salgemma, in Austria e riconsegnate allo Stato Italiano.
Tiziano: Paolo 3° tra i nipoti Museo di Capodimonte

Considerazioni storiche ed artistiche su alcuni castelli piemontesi

Considerazioni storiche ed artistiche su alcuni castelli piemontesi Sintesi della conferenza tenuta dal Gen. Dario Sacco I castelli medioevali in Piemonte furono eretti a difesa del nostro territorio e, successivamente, la maggior parte di loro divenne sede di ricche famiglie. Queste strutture, costruite con tecniche e compiti diversi in funzione del periodo storico e dell’evoluzione delle armi disponibili al momento, il più delle volte furono realizzate per opporsi a minacce attuate con tecniche specifiche, ed in seguito dovettero essere modificate per far fronte all’evoluzione di tali tecniche. L’origine di questi castelli, si può fissare in due grandi periodi: quello in cui si combatteva esclusivamente con armi bianche, ed in questo caso, si prediligeva anche la bellezza estetica ed artistica, e quello dominato dalle armi da fuoco che ne rivoluzionarono l’architettura facendole più tozze e protette da terrapieni, per assorbirne gli effetti dirompenti. Nella nostra regione, attraverso i secoli nebulosi nei quali si formarono le strutture feudali, si arrivò al XII secolo, nel quale presero corpo le tre maggiori forze del momento: i Savoia, i Marchesi del Monferrato e quelli di Saluzzo. L’invenzione della polvere da sparo ed il conseguente uso delle armi da fuoco, in particolar modo dei cannoni, fecero decadere la funzione specifica del vecchio castello costruito per fini difensivi che divenne, il più delle volte, residenza di ricchi proprietari. Ciò avvenne in un periodo in cui spirava in Piemonte il vento del Rinascimento artistico e culturale con il conseguente rinnovamento degli interni delle strutture militari, alcuni dei quali divennero dei veri musei d’arte. Furono chiamati a trasformare questi interni, artisti di grido, arredatori provetti ed artigiani specialisti nel legno, che usarono tutte le loro conoscenze per ottenere un risultato artistico ad alto livello. Il Piemonte che per la sua posizione strategica è stata la Regione che deteneva il maggior numero di castelli, presenta, ancora oggi, tante strutture che hanno gli interni affrescati da pittori insigni. Tra i vari castelli, ho scelto quello della Manta di Saluzzo e Palazzo Madama di Torino tra i più ricchi di storia e d’opere d’arte. Il castello della Manta di Saluzzo, che inizialmente faceva parte del sistema difensivo del Marchesato di Saluzzo, fu ceduto da Tommaso III al figlio naturale Valeriano che vi si stabilì dando inizio ad un ramo cadetto della dinastia, che prosperò a lungo. Il nuovo signore attuò una profonda ristrutturazione del complesso ampliandolo ed abbellendolo con importanti interventi artistici. Tra questi, è eccelso il ciclo d’affreschi che ornano la Sala Baronale, alla cui realizzazione, curata dal magistrale pennello di Jacopo Jaquerio, sovrintese lo stesso Valeriano. Les chevaliers errants Fontana della giovinezza Si tratta di due distinte raffigurazioni, ognuna occupante una delle pareti lunghe del salone. La prima illustra i personaggi del romanzo cavalleresco in versi “Les Chevaliers errants” scritto in lingua transalpina dal padre di Valeriano, durante la sua prigionia a Savigliano, dopo la sconfitta nella battaglia di Monasterolo nel 1394 per opera di Ludovico d’Acaja. La seconda è una vivacissima, divertente ed a volte maliziosa rappresentazione della “Fontana della giovinezza” e dei personaggi, a volta tragici ed a volte grotteschi, che vi si recano per trarvi giovamento dalle sue qualità. Il più antico castello fortificato, è situato nella nostra città e le sue origini sono romane: è Palazzo Madama, posto al centro della nostra stupenda Piazza Castello. L’origine di Palazzo Madama risale alla Porta Decumana della città Romana Augusta Taurinorum. Quest’antica costruzione, mal ridotta, fu scelta nel 1276 da Guglielmo VII del Monferrato, temporaneo signore di Torino, come punto di partenza della sua casaforte cittadina. L’edificio passò poi ai Savoia e nel 1402 Ludovico d’Acaja vi effettuò vari lavori tendenti ad ampliarlo e rafforzarlo. La residenza, abbandonata durante l’occupazione francese della città, si deteriorò rapidamente tanto che, quando nel 1562 Emanuele Filiberto rientrò a Torino, destinata a diventare la capitale dei suoi Stati, giudicò il castello non abitabile per ospitare la corte ducale e s’installò nel palazzo del Vescovo sul lato settentrionale della piazza, collegato dal 1497 al castello con un corridoio coperto. All’inizio del XVII secolo Carlo Emanuele I cominciò i lavori che dovevano far divenire abitabile il castello ma essi non ebbero continuità e furono abbandonati fino al 1638 quando Cristina di Francia (Madama Reale) trasformò completamente il palazzo che da quel momento diventò Palazzo Madama. Stanza da letto di Madama Reale Ritratto d’uomo Antonello da Messina Le trasformazioni più evidenti furono la copertura con volte a crociera dei cortili interni, che resero il palazzo unico blocco e che, in seguito, fu arricchito ed abbellito con opere d’arte, diventando uno dei più bei palazzi principeschi d’Europa. All’inizio del settecento, un’altra Madama Reale, Giovanna Battista di Savoia – Nemour incaricò Filippo Juvarra, di progettare una nuova facciata per l’Edificio. Nel 1883 l’architetto d’Andrade ripulì la struttura dai vari inutili fronzoli ed ulteriori lavori nel 1934, nel dopoguerra, oltre a quelli terminati da qualche anno, hanno portato il Palazzo Madama alla stupenda situazione attuale.

Monumento Nazionale all'Artigliere da Montagna.

Monumento Nazionale all'Artigliere da Montagna. In onore ed a ricordo dell’eroismo e dei sacrifici degli artiglieri da montagna e con la collaborazione di tutti i “montagnini d’Italia reduci della 2^ G.M., nel 1951 fu eretto a Torino il “Monumento Nazionale all’Artigliere da Montagna”, opera egregia del Prof. Giorgio RIGOTTI, proprio sugli spalti della Cittadella legata all’epico Nome di Pietro Micca. Per motivi di stabilità del suolo, nel corso degli anni si rese necessario individuare una diversa collocazione e la scelta, quanto mai opportuna, cadde sulla Caserma “Lamarmora” di Corso Vittorio Emanuele II dove, nel 1877, si erano costituite le prime batterie della Specialità e dove ebbe sede il 1° Rgt. a. mon. dalla costituzione (1887) fino al 1943. Il Monumento fu trasferito nel 1977 ( 90° anniversario della costituzione della Specialità ) e, per evidenziare la caratteristica dell’unicità del Monumento Nazionale, fu presa la decisione di inaugurarlo nella sua nuova dislocazione il 15 maggio del 1977, in concomitanza con la 50^ Adunata Nazionale Monumento all'Artigliere da Montagna dell’A.N.A. ed alla presenza delle Bandiere dei disciolti sei Reggimenti della Specialità. Nella stessa occasione il Municipio di Torino decise di dedicare agli artiglieri da montagna il giardino antistante la Caserma dandogli la denominazione di “Giardino degli Artiglieri da Montagna” ed installando un’apposta Lapide. Per necessità di assestamento urbanistico, però, nel 1989 è stato necessario ricollocare il Monumento ad alcune centinaia di metri, sempre nell’area del “Giardino degli Artiglieri da Montagna”, prevedendone prima lo smontaggio e poi la ricostruzione nel nuovo sito. Il “Nucleo 75/13” della Sezione A.N.A. di Torino volle ancora una volta riaffermare il sentimento di onore e del ricordo per i sacrifici e l’eroismo degli appartenenti alla Specialità sollecitando la ricostruzione di precipua competenza del Comune di Torino e promuovendo, con il determinante sostegno della Regione Militare Nord Ovest, una degna Cerimonia per la reinaugurazione del Monumento. La Cerimonia si svolse il 15 giugno 1991 con l’attiva partecipazione degli Artiglieri da Montagna, dell’A.N.A. e dell’A.N.Art.I. ed alla presenza della Bandiera di Guerra del glorioso Gruppo a. mon. “Aosta”, del Sindaco di Torino on. Valerio ZANONE, del Comandante della R.M.N.O. Gen. C.A. Corrado RAGGI, del Gen. C.A. Enrico RAMELLA, delle Rappresentanze delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma e di molti Cittadini. Ha officiato la S. Messa l’Ordinario Militare Arcivescovo Mons. Giovanni MARRA ed ha tenuto L’Orazione Ufficiale il Gen. C.A. Giorgio DONATI, Comandante pro-tempore delle F.T.A.S.E.. Purtroppo, nel 2006, il cedimento del terreno circostante ha provocato una preoccupante inclinazione del Monumento e si è reso indispensabile un ulteriore spostamento dell’Opera, anche se solo di alcuni metri più avanti, sempre nell’angolo di Corso Vittorio Emanuele II con Corso Ferrucci. Il “Nucleo 75/13”, confermando lo spirito ed i sentimenti del 1989 ha costantemente sollecitato il Comune di Torino per una rapida ricostruzione del Monumento e, con il sostegno incondizionato del Comando Regione Militare Nord e della Sezione A.N.A. di Torino, ha promosso una ulteriore degna Cerimonia di reinaugurazione che si è svolta il 4 dicembre 2010 in coincidenza con la Ricorrenza di S. Barbara. Con una Cerimonia sobria ed essenziale e con la significativa presenza del Gonfalone della Città di Torino - decorato di Medaglia d’Oro al Valor Militare - accompagnato dai Gonfaloni della Provincia di Torino e della Regione Piemonte, di numerosissimi Labari e Gagliardetti delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma di Torino e dintorni, di un Reparto in armi del 1° Rgt. a. mon., di una Rappresentaza dei S.Ten. di artiglieria e genio della Scuola di Applicazione e Studi Militari dell’Esercito nonché di una folta partecipazione di Artiglieri di tutti i gradi dell’A.N.Art. I., del Nucleo 75/13 e di Cittadini. Presenti le più alte Autorità Civili e Militari della Città di Torino, del Comandante della B. alp. Taurinense, del Presidente Nazionale dell’A.N.Art.I. e del Rappresentante del Presidente Nazionale dell’A.N.A., sono stati resi gli onori al Capo di Stato Maggiore del Comando Forze Operative Terrestri Gen. D. Giorgio BATTISTI. Dopo la Benedizione del Monumento hanno preso la parola il Rappresentante del Nucleo 75/13, Promotore della Cerimonia, Gen.B.(ris.) Giorgio MARCHETTI di MURIAGLIO, il Rappresentante del Sindaco di Torino Consigliere V. BOERO ed il Gen. D. G. BATTISTI. Sono stati quindi resi gli Onori ai Caduti ed, infine, sono stati consegnati tre premi della Fondazione “Caduti par la Patria del 1° e 4° Rgt. a. mon.” ad altrettanti militari del 1° Rgt. a. mon. meritevoli nello svolgimento dei propri compiti in territorio nazionale ed in Afganistan. Si è trattato di un avvenimento patriottico che precede i grandi Eventi del 2011 in Torino e che ha ricevuto il Patrocinio delle Istituzioni e del “Comitato Torino 150”. e.p. Il giorno della reinaugurazione Lapide nel “Giardino degli Artiglieri da Montagna” >>> Torna all'indice di A.N.Art.I & ARTE <<< Informazioni e contatti Associazione Nazionale Artiglieri d'Italia Presidenza Nazionale (Direzione e Redazione del Periodico dell'Associazione Nazionale Artiglieri d'Italia) Via Aureliana, 25 - 00187 ROMA Tel. 06.4814046 - 06.47355524 - Fax 06.4814046 - 06.47355524 (dalle ore 12,00 alle ore 9,00 del giorno successivo) E-mail: associazionenazionaleart@tin.it

Avventura italiana in Abissinia tra storia ed arte

Il nome Abissinia deriva da una parola araba che significa “mescolanza di razze”; il nome Etiopia, temine greco, indica “terra degli uomini dal volto nero” e fu adottato dall’Imperatore Menelik II per dare coesione al paese composto da tribù che agivano in modo semi-autonomo. La storia di questa nazione inizia agli albori del genere umano e, forse, ancor prima: l’Etiopia orientale fu infatti abitata da ominidi, predecessori dell’Homo Sapiens; ne sono evidente testimonianza i ritrovamenti nella valle dell’Awash, dei resti dell’ominide Lucy e dell’ancor più antico Australopitecus Afarensis, che tre milioni e mezzo d’anni fa si cibavano di radici in questa regione. I periodi storici che si susseguirono in questa Regione, possono essere sintetizzati in quelli del Regno d’Axum, del periodo islamico, della dinastia Zgawe, del periodo di Gondar fino all’unità ritrovata con Hailè Selassié, dell’occupazione italiana, del periodo marxista e dell’attuale governo democratico eletto dal popolo. L’avventura italiana si svolse in tre periodi diversi (Il periodo delle esplorazioni, la sconfitta d’Adua, l’occupazione dell’Etiopia). L’apertura del canale di Suez nel 1869 valorizzò le coste del Mar Rosso che erano ancora in parte non colonizzate dagli europei. Gli inglesi si erano impossessati di Aden sulle rive orientali della penisola arabica e di parte della Somalia; i francesi erano invece sbarcati ad Obok nell’insenatura a nord di Gibuti. Verso l’Eritrea, unico tratto di costa ancora indipendente, si diresse l’interesse coloniale italiano. La penetrazione italiana nel corno d’Africa fu preceduta da esplorazioni geografiche che avevano non solo il fine scientifico, ma miravano anche a cercare e “mappare” nuovi territori di espansione per il neonato Stato italiano. Il colonialismo italiano ebbe inizio compiutamente nel 1882 con l’acquisto del porto di Assab che fu il primo lembo d’Africa orientale posseduto dall’Italia. Dal 1885 al 1890 fu acquisita l’intera Eritrea. Durante la sua conquista si verificarono alcune perdite che la storia ricorda come i cinquecento di Dogali. La firma del trattato di Uccialli nel 1889, riconobbe, tra l’altro, la sovranità dell’Italia sull’Eritrea. I nostri governanti ritennero che anche il resto dell’Etiopia fosse, per così dire, protettorato italiano, ma l’Etiopia non era assolutamente d’accordo su quest’interpretazione e denunciò il trattato. Per confermare i suoi diritti sanciti dal trattato di Uccialli, l’Italia entrò in guerra contro Menelik II invadendo il Tigray con un esercito di undicimila soldati integrati da cinquemila ascari eritrei. Il risultato fu disastroso e fu reso ancora più amaro dalla disfatta di Adua. Occorre ricordare che in seguito a questa sconfitta che costò agli italiani molte perdite in vite umane e di materiali d’armamento, Crispi, che presiedeva il Governo, si dimise. Nel “ventennio” l’Etiopia tornò a far gola all’Italia; il nostro Primo Ministro nel 1934 decise che era giunto il momento della riscossa. La seconda campagna etiopica però fu, a differenza della prima, preceduta da un’imponente fase organizzativa che portò in Eritrea, punto principale dell’attacco, ingenti forze militari e civili. Il nostro dispositivo era stato completato e si aspettava che ci fosse il “casus belli” per iniziare le operazioni militari e vendicare la sconfitta di Adua che ancora non era stata dimenticata. Tra la fine del 1934 e quella del 1935 ci furono due attacchi abissini ad avamposti italiani al confine tra l’Etiopia e la Somalia che procurarono morti e feriti. Il nostro governo chiese le scuse ufficiali del Negus ed un indennizzo per le famiglie dei militari morti. Le richieste italiane furono ignorate perciò si creò il “casus belli” necessario per l’inizio delle operazioni che avvenne il 3 ottobre dall’Eritrea e successivamente dalla Somalia. Nominato viceré d'Etiopia in seguito alla rinuncia di Badoglio, Graziani fece costruire numerose opere pubbliche (dighe, strade che ancora esistono, infrastrutture industriali), necessarie allo sviluppo civile ed industriale della zona. Il 5 maggio del 1941 il viceré dell’Etiopia Amedeo d’Aosta, sconfitto sull’Amba Alagi si arrese agli Inglesi riconsegnando l’Etiopia al Negus. Sotto l’aspetto artistico, possiamo individuare due periodi storici: -quello preistorico che presenta una gran quantità di graffiti, i più importanti dei quali si trovano nelle grotte di Gesuba lungo il corso del fiume Omo; -quello influenzato dalla civiltà egizio-siriana e da quella Bizantino-cristiana. Quest’arte è raggruppata in quattro località poste sugli altopiani a nord del paese, ovvero nelle zone del Lago Tana, di Gondar, di Axum ed in quella di Lalibelà. La maggior parte di questi siti sono protetti dall’Unesco perché patrimonio dell’intera Umanità. La zona del Lago Tana diventò importante con il ritorno al potere della dinastia salomonica dopo la fine dell’epoca Zagwe. Il lago, circondato da alte catene montuose, divenne il cuore della religione cristiana perché risultava la zona più protetta dalla minacce dei sultanati islamici dell’Etiopia orientale. Molti monasteri furono costruiti sulle isole per risultare ancora più inaccessibili e garantire la conservazione dei sacri testi dalle minacce di distruzione. Gli interni di queste chiese sono completamente affrescati con pitture d’ispirazione bizantina. La zona di Gondar, molto interessante sotto l’aspetto artistico, fa capo alla città omonima fondata dall’Imperatore Fasiladas nel 1636 in un punto d’incontro tra le vie commerciali che portavano ricchezze minerarie del sud verso i porti del Mar Rosso. La città è nota per i suoi castelli di stile europeo – islamico eretti nel corso di più di due secoli. Nelle vicinanze del recinto dei castelli, si trova la chiesa Debré Berham Selassié “Monte della luce della Trinità”, famosa in tutto il mondo per il soffitto affrescato con il volto di ottanta cherubini e con le pareti affrescate dal grande pittore Mekel . La terza Zona che eccelle per l’arte è la città di Axum. Anche se oggi è una piccola città di poca importanza, a partire dal II secolo a.C. sino al VI secolo d.C. vi fiorì la più importante civiltà antica dell’Africa nera. Il culmine dello splendore fu raggiunto nel III secolo dopo Cristo e le rovine ora visibili lo testimoniano anche se la maggior parte dei suoi tesori artistici sono ancora da portare alla luce. L’emblema attualmente visibile del grande passato di Axum è sicuramente rappresentato dalle numerose stele che sormontavano le tombe reali. Alcune di loro sono finemente scolpite e, al pari delle piramidi egiziane erano il simbolo della potenza del re del quale presidiavano la tomba. Altro monumento importante nella città di Axum è il complesso delle chiese di Santa Maria di Zion. Le voci circa la presenza dell’Arca dell’Alleanza nella chiesa di Santa Maria di Zion furono confermate dall’Abuma Paulos in una conferenza stampa tenuta a Roma nel 2009, nell’Hotel Aldrovandi, durante la visita a Benedetto XVI. Altro sito artistico che attira centinaia di migliaia di turisti desiderosi di ammirare le antiche culture etiopi, è la città santa di Lalibelà nel Tigrai. Secondo la leggenda, il piccolo Lalibelà fece vari sogni premonitori nei quali gli angeli gli mostravano le immagini di una Gerusalemme celeste che egli avrebbe dovuto realizzare tra i monti dell’Etiopia, ovvero nel paesino di Roha, nome antico del villaggio che avrebbe poi preso il suo nome. . La costruzione delle chiese rupestri attribuita dalla credenza popolare al solo arco di vita del sovrano copre in effetti un periodo ben più ampio e dura probabilmente per tutto il regno della dinastia Zagwe specie in considerazione delle diversità stilistiche tra le 11 chiese. La zona però ha molte altre chiese rupestri, alcune in siti inaccessibili, altre furono ricoperte di terra per proteggerle dalla furia distruttiva degli islamici ed ancora da riportare alla luce. Le chiese furono edificate seguendo due tecniche costruttive:ipogee e monolitiche.