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Avventura italiana in Abissinia tra storia ed arte

Il nome Abissinia deriva da una parola araba che significa “mescolanza di razze”; il nome Etiopia, temine greco, indica “terra degli uomini dal volto nero” e fu adottato dall’Imperatore Menelik II per dare coesione al paese composto da tribù che agivano in modo semi-autonomo. La storia di questa nazione inizia agli albori del genere umano e, forse, ancor prima: l’Etiopia orientale fu infatti abitata da ominidi, predecessori dell’Homo Sapiens; ne sono evidente testimonianza i ritrovamenti nella valle dell’Awash, dei resti dell’ominide Lucy e dell’ancor più antico Australopitecus Afarensis, che tre milioni e mezzo d’anni fa si cibavano di radici in questa regione. I periodi storici che si susseguirono in questa Regione, possono essere sintetizzati in quelli del Regno d’Axum, del periodo islamico, della dinastia Zgawe, del periodo di Gondar fino all’unità ritrovata con Hailè Selassié, dell’occupazione italiana, del periodo marxista e dell’attuale governo democratico eletto dal popolo. L’avventura italiana si svolse in tre periodi diversi (Il periodo delle esplorazioni, la sconfitta d’Adua, l’occupazione dell’Etiopia). L’apertura del canale di Suez nel 1869 valorizzò le coste del Mar Rosso che erano ancora in parte non colonizzate dagli europei. Gli inglesi si erano impossessati di Aden sulle rive orientali della penisola arabica e di parte della Somalia; i francesi erano invece sbarcati ad Obok nell’insenatura a nord di Gibuti. Verso l’Eritrea, unico tratto di costa ancora indipendente, si diresse l’interesse coloniale italiano. La penetrazione italiana nel corno d’Africa fu preceduta da esplorazioni geografiche che avevano non solo il fine scientifico, ma miravano anche a cercare e “mappare” nuovi territori di espansione per il neonato Stato italiano. Il colonialismo italiano ebbe inizio compiutamente nel 1882 con l’acquisto del porto di Assab che fu il primo lembo d’Africa orientale posseduto dall’Italia. Dal 1885 al 1890 fu acquisita l’intera Eritrea. Durante la sua conquista si verificarono alcune perdite che la storia ricorda come i cinquecento di Dogali. La firma del trattato di Uccialli nel 1889, riconobbe, tra l’altro, la sovranità dell’Italia sull’Eritrea. I nostri governanti ritennero che anche il resto dell’Etiopia fosse, per così dire, protettorato italiano, ma l’Etiopia non era assolutamente d’accordo su quest’interpretazione e denunciò il trattato. Per confermare i suoi diritti sanciti dal trattato di Uccialli, l’Italia entrò in guerra contro Menelik II invadendo il Tigray con un esercito di undicimila soldati integrati da cinquemila ascari eritrei. Il risultato fu disastroso e fu reso ancora più amaro dalla disfatta di Adua. Occorre ricordare che in seguito a questa sconfitta che costò agli italiani molte perdite in vite umane e di materiali d’armamento, Crispi, che presiedeva il Governo, si dimise. Nel “ventennio” l’Etiopia tornò a far gola all’Italia; il nostro Primo Ministro nel 1934 decise che era giunto il momento della riscossa. La seconda campagna etiopica però fu, a differenza della prima, preceduta da un’imponente fase organizzativa che portò in Eritrea, punto principale dell’attacco, ingenti forze militari e civili. Il nostro dispositivo era stato completato e si aspettava che ci fosse il “casus belli” per iniziare le operazioni militari e vendicare la sconfitta di Adua che ancora non era stata dimenticata. Tra la fine del 1934 e quella del 1935 ci furono due attacchi abissini ad avamposti italiani al confine tra l’Etiopia e la Somalia che procurarono morti e feriti. Il nostro governo chiese le scuse ufficiali del Negus ed un indennizzo per le famiglie dei militari morti. Le richieste italiane furono ignorate perciò si creò il “casus belli” necessario per l’inizio delle operazioni che avvenne il 3 ottobre dall’Eritrea e successivamente dalla Somalia. Nominato viceré d'Etiopia in seguito alla rinuncia di Badoglio, Graziani fece costruire numerose opere pubbliche (dighe, strade che ancora esistono, infrastrutture industriali), necessarie allo sviluppo civile ed industriale della zona. Il 5 maggio del 1941 il viceré dell’Etiopia Amedeo d’Aosta, sconfitto sull’Amba Alagi si arrese agli Inglesi riconsegnando l’Etiopia al Negus. Sotto l’aspetto artistico, possiamo individuare due periodi storici: -quello preistorico che presenta una gran quantità di graffiti, i più importanti dei quali si trovano nelle grotte di Gesuba lungo il corso del fiume Omo; -quello influenzato dalla civiltà egizio-siriana e da quella Bizantino-cristiana. Quest’arte è raggruppata in quattro località poste sugli altopiani a nord del paese, ovvero nelle zone del Lago Tana, di Gondar, di Axum ed in quella di Lalibelà. La maggior parte di questi siti sono protetti dall’Unesco perché patrimonio dell’intera Umanità. La zona del Lago Tana diventò importante con il ritorno al potere della dinastia salomonica dopo la fine dell’epoca Zagwe. Il lago, circondato da alte catene montuose, divenne il cuore della religione cristiana perché risultava la zona più protetta dalla minacce dei sultanati islamici dell’Etiopia orientale. Molti monasteri furono costruiti sulle isole per risultare ancora più inaccessibili e garantire la conservazione dei sacri testi dalle minacce di distruzione. Gli interni di queste chiese sono completamente affrescati con pitture d’ispirazione bizantina. La zona di Gondar, molto interessante sotto l’aspetto artistico, fa capo alla città omonima fondata dall’Imperatore Fasiladas nel 1636 in un punto d’incontro tra le vie commerciali che portavano ricchezze minerarie del sud verso i porti del Mar Rosso. La città è nota per i suoi castelli di stile europeo – islamico eretti nel corso di più di due secoli. Nelle vicinanze del recinto dei castelli, si trova la chiesa Debré Berham Selassié “Monte della luce della Trinità”, famosa in tutto il mondo per il soffitto affrescato con il volto di ottanta cherubini e con le pareti affrescate dal grande pittore Mekel . La terza Zona che eccelle per l’arte è la città di Axum. Anche se oggi è una piccola città di poca importanza, a partire dal II secolo a.C. sino al VI secolo d.C. vi fiorì la più importante civiltà antica dell’Africa nera. Il culmine dello splendore fu raggiunto nel III secolo dopo Cristo e le rovine ora visibili lo testimoniano anche se la maggior parte dei suoi tesori artistici sono ancora da portare alla luce. L’emblema attualmente visibile del grande passato di Axum è sicuramente rappresentato dalle numerose stele che sormontavano le tombe reali. Alcune di loro sono finemente scolpite e, al pari delle piramidi egiziane erano il simbolo della potenza del re del quale presidiavano la tomba. Altro monumento importante nella città di Axum è il complesso delle chiese di Santa Maria di Zion. Le voci circa la presenza dell’Arca dell’Alleanza nella chiesa di Santa Maria di Zion furono confermate dall’Abuma Paulos in una conferenza stampa tenuta a Roma nel 2009, nell’Hotel Aldrovandi, durante la visita a Benedetto XVI. Altro sito artistico che attira centinaia di migliaia di turisti desiderosi di ammirare le antiche culture etiopi, è la città santa di Lalibelà nel Tigrai. Secondo la leggenda, il piccolo Lalibelà fece vari sogni premonitori nei quali gli angeli gli mostravano le immagini di una Gerusalemme celeste che egli avrebbe dovuto realizzare tra i monti dell’Etiopia, ovvero nel paesino di Roha, nome antico del villaggio che avrebbe poi preso il suo nome. . La costruzione delle chiese rupestri attribuita dalla credenza popolare al solo arco di vita del sovrano copre in effetti un periodo ben più ampio e dura probabilmente per tutto il regno della dinastia Zagwe specie in considerazione delle diversità stilistiche tra le 11 chiese. La zona però ha molte altre chiese rupestri, alcune in siti inaccessibili, altre furono ricoperte di terra per proteggerle dalla furia distruttiva degli islamici ed ancora da riportare alla luce. Le chiese furono edificate seguendo due tecniche costruttive:ipogee e monolitiche.

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