Mostra “IL BIANCO, IL ROSSO, IL VERDE … IL ROSA” Mastio della Cittadella, Corso Galileo Ferraris 0, Torino
Da 16 al 24 settembre 2024 orari: Mattino: dalle 10.00 alle 12.00 Pomeriggio: dalle 15.00 alle 19.00 (con ultimo afflusso alle 18.30)
Sono organizzate al mattino e su prenotazione all’indirizzo mail anartitorino@gmail.com visite guidate per studenti delle Scuole Medie Secondarie di primo e secondo grado
In Italia la presenza femminile nelle Forze Armate oggi è una realtà consolidata. Dal 1999 le donne hanno la possibilità di arruolarsi nell’Esercito, nell’Aeronautica, nella Marina o nell’Arma dei Carabinieri. L’assenza di preclusioni di incarichi e di impieghi, oltre che di ruolo o di categorie, rende il modello di reclutamento italiano tra i più avanzati del mondo, per quanto riguarda le pari opportunità. Attualmente Forze Armate e Carabinieri, registrano la presenza di oltre 20 mila unità di personale militare femminile (quasi il 7,5 per cento del totale del personale militare). Ma il ruolo delle donne nelle Forze Armate italiane, anche se poco conosciuto, ha una storia molto più lunga. Una mostra, che ripercorre le tappe di questa storia, è stata organizzata dal Museo Storico Nazionale di Artiglieria e la Sezione Provinciale di Torino dell’Associazione Nazionale Artiglieri d’Italia in collaborazione con il Gruppo Storico “Militaria 1848-1945”, presso il Mastio della Cittadella, (Corso Galileo Ferraris 0, Torino).
La rassegna che si intitola “IL BIANCO, IL ROSSO, IL VERDE … IL ROSA” espone le uniformi più significative delle donne, dal 1848 al 1945. La mostra inizia dal Risorgimento, quando nell’organico dell’Esercito del Regno di Sardegna era presente la figura della vivandiera o cantiniera. La loro posizione era analoga a quella del capo armaiolo, del capo sarto e del capo calzolaio, artigiani militarizzati. L’ordinamento vigente durante la prima guerra d’indipendenza ne prevedeva una per ogni battaglione di fanteria e due per ogni reggimento di artiglieria e cavalleria. Dalla seconda guerra d’indipendenza in poi, ogni reggimento di fanteria ne ebbe due, sino al 1866. Durante la battaglia di San Martino due vivandiere che si distinsero nel soccorso e nell’evacuazione dei feriti, furono decorate al Valor Militare, Serafina Donadei e Maddalena Donadoni Giudici. Nel 1873 con la Riforma Ricotti dell’Esercito queste figure scomparvero e caddero nell’oblio.
La prima guerra mondiale travolse tutto il Paese e mutò profondamente il ruolo delle donne che non combatterono in prima persona, ma ugualmente diedero un apporto assolutamente fondamentale allo sforzo bellico. La Grande Guerra rappresentò l’inizio del cambiamento di ruolo nella società. In quel tempo non potevano votare, avevano pochi diritti civili, scarso accesso alle libere professioni, sostanzialmente ancora subordinate a padri e mariti.
La mobilitazione femminile si manifestò in due modalità: l’assistenza e il lavoro sostitutivo dei combattenti. Affiancarono il personale maschile o sostituirono gli uomini al fronte lavorando nell’industria bellica, come braccianti agricole, cuoche, telegrafiste, dattilografe, postine, tranviere, continuando nello stesso tempo a svolgere le mansioni domestiche. Le donne si ritrovarono a svolgere mansioni inedite, mettendo in discussione modelli di comportamento che parevano immutabili.
Una profonda e irreversibile rivoluzione nelle relazioni fra generi in una società in cui il lavoro delle donne era ancora un’eccezione. In numero minore furono le donne ammesse nelle zone di guerra, a partire dal prezioso ruolo assistenziale di circa 10.000 crocerossine. Vi furono anche 45 donne medico (la metà di quelle allora laureate in medicina) che si arruolarono volontarie nel Regio Esercito e vennero reclutate come ufficiali medici.
Un particolare caso quello delle “portatrici carniche”, furono 1454 donne della Carnia che con le loro gerle trasportavano rifornimenti e munizioni fino alle prime linee italiane. Una di esse Maria Plozner Mentil cadde durante il servizio, e venne decorata con medaglia d’oro al valor militare. Ad essa è intitolata una caserma nel comune di Paluzza (Udine) unica caserma dell’Esercito Italiano dedicata ad una donna.
A guerra finita qualcosa si era modificato inevitabilmente. Lo Stato riconobbe il nuovo ruolo femminile con l’approvazione, il 17 luglio 1919, della legge n. 1176 che riconosceva la capacità giuridica della donna.
Nella seconda guerra mondiale, oltre alla consueta partecipazione delle crocerossine, vi fu un servizio ausiliario femminile nelle Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana.
Ma ancora più importante fu la costituzione nel nuovo Regio Esercito Italiano Cobelligerante del Corpo Assistenza Femminile (C.A.F.). Nel giugno del 1944, sulla base dell’esperienza angloamericana, venne costituito il Corpo Assistenza Femminile (C.A.F.) con compiti di vario supporto al soldato attraverso un servizio presso le “cantine mobili”, posti di sosta, posti di ristoro, biblioteche, uffici informazioni presso le Case del Soldato, spacci e foresterie.
Le “cafine”, così dette dalla sigla C.A.F., prestavano servizio volontario per 12 mesi, percepivano un’indennità, avevano diritto all’alloggio, ad un’uniforme (di foggia inglese) e vitto gratuito. Soggette alla disciplina militare e dipendenti dal Ministero della Guerra, venivano a loro applicate tutte quelle disposizioni vigenti per il personale militare dell’Esercito.
Le “cafine”, assimilate al grado di sottotenente e di età compresa fra i 21 e i 50 anni, avevano una gerarchia semplice che si basava su un’Ispettrice, le vice-Ispettrici, le Capo Gruppo (comandanti del nucleo assegnato al Gruppo di Combattimento) e le gregarie, simile alla struttura delle volontarie della Croce Rossa.
Le CAF furono le antesignane della presenza delle donne nell’Esercito oggi, e proprio con la loro divisa si chiude la mostra.
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